ultima sua fase che presento, della amazonomachia, già fisionomico e sulla breccia, nel quadro dei valori della giovane arte del Sud.
Cosa è dunque avvenuto dalla fase
precedente "aperta" a
questa odierna "chiusa" in una sorta di recupero della teatralità mitologica, nella
tematica di una tragedia
nuovamente in costume (prima il dramma
popolare delle crocifissioni, oggi la recita di scene da frontone templare greco, da
affreschi o mosaici romani)
nel ricupero, anche, di una maggiore intenzione
pittorica, nell'impegno, sempre, di raccontare in un
ciclo una precisa tematica?
Dirò intanto che il clima
sostanzialmente "avanguardistico"
in cui Pontillo ha lavorato fino a due anni fa, si é trasformato, per echi
più o meno riverberati, più o meno avvertiti
direttamente, in una sorta di trans avanguardia, o
meglio di post moderno moderato: non con le
attenzioni quasi maniacali alla pittura miniaturizzante dei "pittori colti" -
perché, anzi, in Pontillo è una certa sprezzatura e acerbità di materia pittorica, che si qualifica con la tensione cromatica, con quegli arrossamenti sanguigni
e quelle solarità di aranci - ma certamente con
l'entusiasmo per un mondo tutto trapassato, al
passato remoto stavolta, non più in quello dei teatri e delle sacrestie
dell'ottocento: menadi, amazzoni, centauri, escono
fuori dai bassorilievi, dai reperti
scultorei, per diventare figure di un dramma recitato a studio, fra diario di
viaggi artistici e interpretazione del presente con i gesti e la coreografia del mito.
(segue testo Venturoli ) |