|
La pittura di Gianni Pontillo
Con
puntualità paterna e consapevolezza consumata
delle cose dell'arte nel Sud, Ciro Ruju scriveva, presentando
Gianni Pontillo nella sua prima mostra personale
d'impegno (ottobre 1983) della "indagine antropologica"
del casertano nelle sue già tipiche "processioni",
"in una sorta di messa a fuoco ravvicinata"
di particolari posti "in primo piano, facendoli divenire
opere a sé stanti, attraverso una ricchezza coloristica
emergente dall'aspazialità del bianco della
tela": operazione questa che, da una parte, teneva
conto del folklore vitale e dialettico delle feste
paesane in una vaga nostalgia morelliana e michettiana
e, dall'altra, traducendo in una sorta di
zoom fotografici il realismo ottocentesco, lo
astrattizzava direi
quasi lo storicizzava, spiazzandone
i connessi, facendo di queste scene di vita, apparizioni
e reperti della memoria.
Nella
indagine di costume di Pontillo il mezzo primario
adoperato non era quello dei maestri naturalisti,
il bozzetto, lo schizzo dal vero da elaborare
poi a studio con qualche sintesi; all'opposto, l'artista
rifaceva dalla fotografia o da una parte di essa, la
pittura, ora isolando nell'apparenza di una evocazione
di personaggio, uno dei componenti delle sue processioni, o collocando in uno spazio a se stante
il paesaggio, ora costruendo vicino a quelle figure
prodotte da un'ottica da mass
media.,
figure e
spazi tutti dipinti. Nella fantasiosa e irrequieta officina
dell'artista casertano l'esperienza post pop, nel senso di una pittura che fa i conti col
mezzo meccanico,
che è riporto di una immagine ottica dentro
uno spazio
|
astratto,
si legava anche a recuperi
oggettuali tardo realisti, diciamo della "nuova figurazione";
l'attenzione alla vita sociale, il rispetto per
la classe popolare e contadina (che parte addirittura
dal neo realismo di un Guttuso anni Cinquanta) non
erano intesi in presa diretta, ma mediatamente: come
a dire che i cantori popolari in chiave di
immagine non sono, nel Meridione, fatti per filo e per segno a somiglianza dei bisnonni.
Piacevano in modo particolare ed io stesso ne segnalai
al Premio Michetti qualche notevole esempio,
certi dettagli, borchie, medaglioni, cinture, nappe,
piedistalli, lanterne che, se ponevano l'accento
sapidamente sul fasto tra barocco e superstizioso
di certe manifestazioni, non raggiungevano mai il feticismo dei "madonnari" di
Franco Solmi, quasi tutti di origine
campana, che ponevano l'oggetto trovato a
livello dell'ex voto. Nei "dettagli" di
Gianni Pontillo era la chiave di lettura della sua modernità, la certezza che ogni eredità naturalistica e teatrale egli poteva spendere col distacco dell'artista moderno, a completa conoscenza dell'avanguardia. E il fatto stesso che l'artista sia stato capace di dare da particolari come "Il saio" (1983)
"Processione" (1982) - quest'ultimo raffigurante un medaglione al collo di un religioso - una immagine globale e definitiva, creando un altro
centro di visuale e facendo di questa
"notizia" la suggestione poetica, fa
concludere che Pontillo fosse, già prima di questa
(segue) |