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Metope a colori E'
forse arrivata l'epoca del minimalismo anche nella pittura? Le premesse
ci sono proprio tutte: ed anche i segni. Sono tempi di ripiegamento,
di riflessione, di autoesclusioni da vicende esterne fastidiose o incomprensibili,
atteggiamenti giustificati, almeno in parte, da divulgate polemiche che rendono l'arte
solo il gustoso ornamento
di un evento, e importa poco (almeno a certa stampa) che
questo sia l'ammasso di folle per una mostra o il trascinarsi sui giornali
di un dibattito archeologico riservato, in definitiva, a pochissimi
addetti ai lavori. C'è il rischio, da non minimizzare, di arrivare entro poco tempo ad
affibbiare all'opera d'arte un'etichetta
di validità solo se accompagnata da una qualche traccia abnorme
o anomala: un gesto scriteriato dell'artista, il sospetto di un falso, o almeno una
ripresa televisiva.
Non
è strano perciò che molti pittori stiano attualmente rintracciando
in spazi più esigui il "luogo" della loro attività: dopo l'abbandono
dei grandi temi (rimasti a pochi coraggiosi) non poteva rimanere
se non il puro concentrarsi su se stessi, alla ricerca di ideali, forse
scomparsi, forse non raggiungibili. Gianni Pontillo ha scelto di misurarsi con
l'evocazione di forme antiche, in parte scaturite
dalla scultura classica, in parte frutto della visione necessariamente distorta che ne abbiamo. Il pittore non è un
filologo, non si deve interrogare sulla
veridicità di un'elaborazione - quale può essere, per esempio, dipingere una metopa - quanto su come collegare memoria e suggestione, tensione verso il nuovo e
fascino della persistenza dell'antico.
Le
statue che compaiono nei quadri di Pontillo sono presenze prive
della tranquillità del passato: acefale, ci rivelano solo a metà - un peplo slacciato, un passo appena accennato - la loro identità. Non hanno nomi, non rimandano a
nessun mito. In questo, ritengo, consiste l'abissale
differenza tra Pontillo e gli artisti che negli ultimi
anni hanno scelto il diretto confronto con la storia, cioè proprio
nell'improvvisa interruzione di ogni legame con la lettura critica del passato che queste figure propongono, nel loro
prendere le distanze da un assetto razionale
della ricostruzione storica e inserirsi liberamente nel gioco della fantasia e dei
modelli.
(segue testo Sergio Guarino)
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